Franca Minardi nasce a Russi, in provincia di Ravenna.
Dopo essersi diplomata al Liceo Artistico di Ravenna, frequenta sempre a Ravenna (dove si trasferisce nel '70) l'Accademia di Belle Arti durante gli anni della sperimentazione. Si diploma in Scultura nel 1976.
Per l'intero quadriennio è allieva di Giò Pomodoro nel corso di Arti Applicate. Durante questo periodo, nel '73, alla Galleria del Teatro di Parma è assieme agli altri allievi del corso, con bozzetti e disegni preparatori, al "Collettivo di lavoro: Uno dei tanti nomi del sole": struttura d’uso collettivo per il Comune di Parma.
Nel '77, partecipa ad una collettiva dal titolo "Sdoppiata-Doppia" allestita al Magazzeno del Sale di Cervia, organizzata da Giulio Guberti.
Sempre nel ’77, è alla Pinacoteca di Ravenna con una mostra organizzata da Marisa Vescovo dal titolo "Segno-Identità: ipotesi-itinerario dentro la creatività femminile".
Dopo un’interruzione dedicata all'insegnamento nella scuola media e al lavoro nell'ambito dell’arredamento come libera professionista, all’inizio degli anni novanta si trasferisce a Faenza, dove tuttora risiede e inizia la nuova ricerca.
Nel '96, organizza con le nuove creazioni una installazione, di una sola notte, presso il parco Tassinari di Faenza dal titolo "Stimoli naturali".
Nel '97 in occasione della giornata dell'8 marzo organizza un'altra installazione nell'ex Chiesa di San Vitale di Faenza, con interventi di biodanza e poesia, dal titolo "L'8 marzo non è la festa delle donne!". La sua ricerca artistica parte da materiali naturali recuperati e trovati dall’occhio attento alle forme e a ciò che esse esprimono. Tali materiali sono depositati per poi essere utilizzati nel progetto creativo. Si tratta di sculture prive di peso, create partendo da uno scheletro fatto di rami, derivati dalla potatura di alberi da frutto, che sono legati insieme con dello spago per poi essere rivestiti di strati ("trame") di carta incollati fra di loro e poi dipinti con terre, sabbie, fango, ruggine e tempere.
Le "sculture dipinte" sono frutto di una ricerca che ha radici nel "femminile", nella conservazione e rivalutazione di ciò che è vivo e che si collega in qualche modo alla "natura selvaggia" ormai sopita.
Lettera di Giò Pomodoro
Milano 15. 10. 1999
Cara Franca,
[...] In quasi mezzo secolo abbiamo partecipato, da soggetti attivi,
a una mutazione antropologica radicale: da uomini-donne naturali
a uomini-donne tecnologici.
[...] Gli oggetti naturali che tu ricomponi, dopo averli sottratti alla deriva, trasformandoli connettendoli l'uno con l'altro secondo uno schema virtuale progettato tridimensionale, di trama e ordito polimaterici, diventano "scheletro" e "carne" di costruzioni simboliche-mitiche per rituali che tu cerchi di organizzare partendo dalla loro effettiva reale presenza evocativa ed enigmatica.
Da tempo cerchi di rintracciare anche tu qualcosa che ti è appartenuto, che è stato di tutti un tempo, ma che abbiamo seppellito giulivi, al suono di corni, tamburi, flauti e trombe sotto le immense discariche dell'era tecnologica. Spero che queste indicazioni, al maschile, possano ricambiare il piacere che la tua visita mi ha portato.
Con un augurio di buon lavoro, come sempre “Koinos Hermes”
Gió
Le mani di Franca
Franca Minardi - 2003
Una delle prime cose che le mie mani di bimba hanno toccato, penso, sia stata la terra.
Terra di cortile, polverosa, ma anche fangosa di pozzanghera, da plasmare e sulla quale lasciare dei segni , delle impronte.
Primi sintomi di un bisogno di fare, di “costruire” con le mani.
Il gesso da sarta bianco è stato il mio primo pastello.
Mia nonna faceva la sarta e così durante le giornate che passavo con lei, stando sotto il tavolo, disegnavo, anzi scarabocchiavo con la “mano mancina” il fondo del piano con il gesso. Da qualche parte esiste ancora questo tavolo con “graffiti” bianchi.
Grazie a questa mia predisposizione al disegno, in età adulta sono stata invogliata a compiere studi di carattere artistico.
Da “piccole” le mani sono diventate “adulte” e hanno iniziato a destreggiarsi in lavori da donne.
Sì, perché i gesti delle donne sono diversi da quelli degli uomini!
Con il tempo queste mani sono diventate più esperte nel fare creativo ed ora, per trasformare un pensiero in “oggetto”, raccolgono materiali che colpiscono la mia immaginazione, legano legni per costruire “scheletri”, strappano e incollano carta per creare “trame”, tagliano spago, impastano terre colorate, plasmano fango, levigano superfici ruvide, dipingono e, a volte, appoggiate al mio mento, meditano.
Credo di non avere mai pensato alle mie mani come oggetto di seduzione, bensì a degli utensili estremamente abili e funzionali al mio volere. Riuscire con le mani a trasformare in materia tangibile e visibile un pensiero o un’immagine mentale da a me una profonda gratificazione.
MANIMANIMANI… ANIMA… che siano le mani strumenti per rendere visibili rappresentazioni dell’anima?
Opere
Esposizioni
Esposizioni personali
2018 - " Oltre il blu"
Galleria FAROarte - Marina di Ravenna (Ra)
2012 - "Stagioni"
Pescherie della Rocca Estense - Lugo (RA)
2010 - "Senza perdere la leggerezza"
ex Chiesa in Albis - Russi (RA)
2009 - "Vista da dentro"
Torre Portinari - Portico di Romagna (FC)
2009 - "Rien ne se perd..."
Cloître des Récollets - La Maison des Vins de Bergerac - Francia
2008 - "Non si perde mai nulla"
Palazzo Scotti - Treviso
2008 - "Nel senso vivo delle cose"
Sala del Torrione - Castelnuovo Rangone (MO)
2017 - "Contaminazioni" II° edizione Chiesa della Propositura - Scarperia (FI) presentazione di Loretta Zaganelli
2016 - "Contaminazioni" Spazio espositivo Chiesa S.Antonio - Palazzuolo sul Senio (FI) presentazione di Loretta Zaganelli
2016 - "Scala Up"
Sala espositiva G.Costa - Bologna
Progetto A.D.D.A.
2015 - "Fatali calpestii"
Chiesa del Carmine - Massalombarda (RA)
a cura di Rossella Ricci e Lamberto Caravita
2015 - "Meteore"
Palazzo San Giacomo - Russi
a cura di Bruno Bandini
2014 - "Untitled"
Studio d'arte contemporanea S.Vitale41 - Massalombarda
a cura di Antonio Caranti e Silvia Casavecchia
2014 - "Prestami il volto"
Palazzo Albertini - Forlì
a cura di Angelamaria Golfarelli
2014 - "Omaggio a Teresa Gamba Guiccioli"
Manica Lunga Biblioteca Classense - Ravenna
a cura di Beatrice Buscaroli
2012 - Doppia personale con Ada Piani
Atelier Casa Perla - Dongo (CO)
2012 - "Arte rosa" il valore della differenza
Galleria Comunale d'Arte - Faenza
a cura di "194 donne"
2012 - "Visioni barbariche"
ex Macello - Russi (RA)
a cura di Bruno Bandini
2011 - "Dal fiore amato il frutto"
Palazzo A. Rasponi - Ravenna (RA)
a cura di Silvia Casavecchia e Claudia Majoli
2011 - "Arte rosa" il valore della differenza
Salannunziata - Imola (BO)
a cura di Mirna Montanari
2010 - "Memorie di terra"
Sala XC Pacifici - Forlì
a cura di Angelamaria Golfarellii
2010 - "Mostr'arti" - Tesi I.S.A Ballardini
Museo Internazionale Ceramica - Faenza (RA)
a cura di Marco Tadolini
2010
"Le jardine des oiseaux"
Giardino di palazzo Numai Foschi – Forlì
a cura di Angelamaria Golfarelli
2009
"6 Artisti nel giardino di Anna"
Bagnacavallo (RA)
a cura di Anna Tazzari e Gianfranco Budini
2009
"La valenza della differenza"
Salone delle Bandiere - Faenza (RA)
a cura di 194 donne Faenza
2008
"Ora et labora"
Oratorio S. Macario - Imola (BO)
2008 "Frammenti"
Galleria Comunale d’Arte - Faenza (RA)
a cura di Maria Concetta Cossa
2007 "Icone possibili"
Sala San Giovanni - Riolo Terme (RA)
A cura di Maria Concetta Cossa
2007 "Artestate 2007"
Sala Museale del Baraccano - Bologna
2006 "Open gallery"
Spazio smc - artecontemporanea Ravenna
2006 "Contemporanea"
Arte Fiera - Forlì
2006 "Cinque artisti a Villa Camilla" Villa Camilla - Domaso (CO)
presentazione di Angelamaria Golfarelli
2006 Vernice art fair
Forlì
2005 "Mostre in mostra"
Centro Culturale Le Cappuccine - Bagnacavallo
A cura del Comune di Bagnacavallo (RA)
2005 15^ Estemporanea Cotignolarte
Palazzo Sforza - Cotignola (RA)
A cura Assessorato alla Cultura del Comune di Cotignola
2005 "L' essenza dei minimi segni"
galleria ARTEPIU’ - Lugo (RA)
presentazione di Angelamaria Golfarelli
2004 14^ Estemporanea Cotignolarte
Palazzo Sforza - Cotignola (RA)
A cura Assessorato alla Cultura del Comune di Cotignola
2004 "La magia dell’arte"
Riolo Terme (RA)
A cura del Comune di Riolo Terme
2004 10^ ed. libri mai mai visti
ex Chiesa in Albis - Russi (RA)
A cura VACA vari cervelli associati
2004 "Lèggere leggère"
Palazzo Sforza - Cotignola (RA)
A cura Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Cotignola
2003 "8 Mani"
Sala del Baiocco - Rione Rosso - Faenza (RA)
2000 "Trasformarte"
Palazzo esposizioni - Faenza
A cura di A.M.F.
1999 "Mail-art"
progetto internazionale di arte postale
Sala dell’Annunziata - Imola.
A cura di Luigi Zanellati e Assessorato alla Cultura del Comune di Imola (BO)
1997 "Le stanze del se" percorsi femminili dell’arte in Romagna
Pala De Andrè - Ravenna.
A cura di Serena Simoni.
1977 "Sdoppiata-doppia"
Magazzeno del Sale - Cervia (RA)
A cura di Giulio Guberti
1977 "Segno-identità"
ipotesi-itinerario dentro la creatività femminile
Pinacoteca Comunale - Ravenna.
A cura di Marisa Vescovo
1973 "Uno dei tanti nomi del sole"
struttura d’uso collettivo per il Comune di Parma.
Galleria del Teatro - Parma.
A cura di Giò Pomodoro
Hanno scritto di me
Stagioni Giovanni Barberini 2012
" [...] A quel tempo l'Oscurità e la Luce si equilibravano armoniosamente;........le stagioni si succedevano regolarmente; gli esseri non cercavano di nuocersi; nessuno moriva prematuramente. Benchè dotati di intelligenza gli uomini non se ne servivano. Era l'epoca dell'unità perfetta; nessuno agiva, tutto si svolgeva naturalmente" ( Zhuang-zi)
Franca è in cerca di quell'unità e di quell'epoca. Quell'epoca della non-azione, non è un frammento della storia ma una condizione della mente che si attinge seguendo il Tao, la Via.
La storia di questo straordinario stato mentale non è tramandata a noi poichè non lascia tracce e ogni cosa si svolge secondo natura. Franca ha intravisto quelle tracce non lasciate attraverso l'intuizione interiore, la ricerca paziente, l'antica abitudine al fare le cose con le mani, l'ascolto silenzioso della natura.
[...] Quelle tracce sono riproposte a noi in forma di segno, di accostamenti di colore, di versi essenziali e minimi al contempo, secondo quella geometria estraniante - per noi tetragoni occidentali - prodotta dal numero cinque. Cinque stagioni, cinque elementi, cinque punti cardinali, [...]
E dal numero dei processi e dalla sequenza delle loro variazioni: la Terra (che argina l'acqua); il Legno (che scava la terra); il Metallo (che taglia il legno); il Fuoco (che fonde il metallo); l'Acqua (che spegne il fuoco).Ma anche, nella sequenza che suggestiona Franca nello scorrere delle stagioni: il Legno della Primavera (che prende fuoco); il Fuoco dell'Estate (che incenerisce); la Terra della quinta stagione (in cui prende forma il metallo); il Metallo dell'Autunno (liquefatto dal calore); l'Acqua dell'Inverno (che nutre il Legno).
Per cogliere queste molteplici e forse infinite trasmutazioni occorre fermarsi, sospendere il tempo dell'azione, e farsi tutt'uno con la natura che non agisce ma, semplicemente, scorre. Allora si scorgono le tracce che il Tao stesso lascia nella storia; una storia che è andata da un'altra parte rispetto al regno della virtù perfetta di cui ci parla Zhuang-zi: ora dominano il senso del dovere, l'amore umanitario, la retorica della lealtà e della fiducia, ma noi non siamo più liberi come il cervo nei prati. Franca deve avere assaporato in qualche modo il senso di quella libertà, e attraverso la sua paziente opera di artista e di artigiana ce la riconsegna, così che anche noi,con gratitudine, possiamo percepirne il frammento. "Senza perdere la leggerezza" Bruno Valerio Bandini - 2010
«Lo straniero ci abita: è la faccia nascosta della nostra identità»
(Julia Kristeva)
I titoli sono complicati: non si sa mai se servano a chiarire le cose o a confondere le idee. O a creare cortocircuiti logici, che ci costringano a riflettere sulle cose in modo più profondo. Ma questo lo faceva Marcel Duchamp, che era irrimediabilmente più bravo di noi.
Comunque sia, osservando e pensando alle opere di Franca Minardi e riflettendo con lei sui gesti che le hanno dato corpo, ho pensato che l’autore provi a “raccontare”, a visualizzare, dei nodi problematici di grande complessità senza appesantirli, senza corredarli di quella dose di afflizione morbosa, che a volte fa da corollario alla pratica artistica contemporanea. Come dire: si può interrogare la “pesantezza” del vivere … senza perdere la leggerezza dello sguardo.
Ma lasciamo stare il titolo, il mio titolo: in fondo è solo un pretesto. Quelli che la Minardi impone alle sue opere lo sono certo meno: Mutazione, Ripiegata, Nido, Vedere oltre, Scudo. Titoli che fanno riferimento a composizioni che sfruttano i materiali più differenti: materiali naturali o che simulano la natura, object trouvé o composizioni che sembrano ricreare le condizioni di un ritrovamento.
Indubbiamente il dialogo con la natura resta una costante. Ma quella natura, che la Minardi interroga da tre decenni, non dev’essere intesa in modo retorico, ambiguo, come luogo in cui l’io lirico dell’artista si esalta e si disperde, come si trattasse di un Eden verso il quale ritornare per allentare i vincoli della cultura e della civilizzazione. Piuttosto si tratta di un territorio d’esperienza, di un paesaggio comunitario frutto di esperienze e stazione di dialogo incessante. Territorio sul quale insistono i segni umani; teatro delle nostre passioni, di scambi e di contaminazioni, di linguaggi … e di oltraggi.
La natura è dunque una grande riserva di segni dalla quale attingere suggestioni, evocazioni poetiche, che manifestano la pienezza dei legami antropologici che vincolano il dispiegarsi della nostra esperienza.
Ancora, la natura viene vissuta come processo organico di mutazione della forma, in una sorta di concezione “fluida” del mondo che non si limita alla pura presenza, che non si limita a porre l’oggetto di fronte all’osservatore, ma piuttosto ridisegna la vita della materia, dei legni, delle terre, delle foglie, arricchendola di significati ulteriori, grazie alla quale – come sottolineava John Cage – l’arte diviene «una sorta di condizione sperimentale in cui si sottopone a verifica il vivere».
Ovviamente alla Minardi non interessa tanto confrontare l’esito della propria composizione con la potenza del “sublime” naturale e nemmeno di immaginare una nuova dialettica di integrazione. Il valore delle “cose” della natura resta intatto, tuttavia quelle “cose” costituiscono il viatico e lo strumento per affrontare le complicatezze del vissuto. La natura è allora il contesto che meglio permette alla Minardi di dilatare la sfera del sensibile, di verificarne la precarietà senza per questo dimenticare quanto l’incertezza della contingenza sia comunque ricca di vita.
C’è però un aspetto più profondo che, nella riflessione della Minardi, si fa strada e prende corpo: l’attivazione di una serie di interrogazioni che investono la dimensione della temporalità.
E qui bisogna intendersi, perché la temporalità alla quale fa riferimento la Minardi si incentra sul carattere differenziato – e quasi sulla contrapposizione – della relazione tra “maschile” e “femminile”.
La differenza di genere, in qualche modo, si misura proprio sulla distanza nel modo di pensare il tempo.
Più che puntare sulla “verità” del dato naturalistico come spazio concreto per individuare la genesi delle forme, più che operare sulle suggestioni che si possono immaginare all’interno del tempo in cui si dispiegano gli avvolgimenti della materia, la Minardi fa entrare in gioco una memoria fatta di empatie sottili che, da un lato, sollecita tensioni verso l’origine della forma, e, dall’altro, individua tracce, orme, impronte che sono reliquie di un archivio personale che tiene in vita ciò che è lontano nel tempo.
Si tratta di una memoria che non si manifesta come ricordo, ma come corrente – individuale, antropologica, di genere – dove tutto continua a fluire: è sentire di aver sentito e di stare per sentire.
Che si tratti di un piacere regressivo o di una soddisfazione differita, di rimozione o di nostalgia, la Minardi sembra evocare un tempo carico di dolore, di assenza, di sprofondamento del senso. Un tempo che richiede di tessere l’ordito di una “vela di Penelope” che sappia trasportarci verso il superamento del “limite” imposto alla soggettività, che – più che riesumare e portare all’intelligenza il luogo oscuro di ciascuna vita – ponga la sensibilità al servizio dell’oscurità della vita.
Insomma, il tempo, il tempo “femminile”, della Minardi ci invita a pensare a tante crudeltà. La cosa notevole è che questa riflessione l’artista la conduce “senza perdere la leggerezza”. "Il pensiero della materia" Riccardo Morfino, Presidente Pro Loco Russi - 2010
Chi incontra per la prima volta la narrazione artistica di Franca Minardi non può che rimanerne coinvolto per la potenza cruda del messaggio e la lievità della materia utilizzata. I tagli, le lacerazioni, le ricuciture, le sovrapposizioni trascinano il visitatore in una realtà anche difficile, contraddittoria, capace di scatenare emozioni forti e a volte anche contrastanti.
Non un pastello colorato o un foglio di carta, bensì un gesso da sarta ed il sottopiano di un tavolo. Così, senza la mediazione del legno della matita che racchiude il colore, senza la superficie bianca della carta su cui far scorrere con facilità l'immagine che scaturisce dalla fantasia, ma con la materia, il gesso, nella "mano mancina" e il legno come fondo, duro, difficile, che non si butta se il disegno non piace, piuttosto lo si pasticcia, lo si modifica, vi si sovrappone un altro "scarabocchio", Franca ha iniziato la sua storia artistica. Nei ricordi di bambina Franca così si descrive, poi si guarda le mani, mani che appartengono al genere femminile e che guidate da un'anima ancor più femminile costruiscono arte, la costruiscono come gli uomini non sanno fare, restituendo in essa quel ricordo di materia impresso indelebilmente nella carne che rende l'opera più concreta, solida, come concrete e solide sanno essere solo le donne.
Non spetta certo a chi scrive avventurarsi nel commento dell'opera di Franca Minardi, altri ben più competenti lo hanno fatto seguendola lungo un percorso che si snoda dagli anni '70 sino ad oggi di grande successo e di riconoscimenti meritatissimi. Non potevo esimermi invece dal commentare quell'imprinting che Franca ha avuto nella sua, nostra, città natale. Noi che stiamo sotto l'ombra del campanile riteniamo spesso che il mondo sia ristretto al cerchio che essa traccia, ma per fortuna così non è. Franca si è spostata, ha trovato la scuola e i maestri adeguati e la strada da percorrere che a volte, per fortuna, va anche lontano. Una strada che si separa dal cortile di casa, che ha incrociato artisti e critici che l'hanno aiutata nel trovare il cammino che ha reso chiara la sua vocazione artistica. Un'arte, la sua, piena di poesia, interpretata con gli elementi naturali raccolti e ricomposti per restituirci un messaggio universale di passione che ha a che fare con il suo essere soprattutto donna. Ma il ricordo di quel cortile e della sua polvere è incancellabile, il bianco del gessetto è rimasto attaccato alle dita.
Oggi possiamo ritrovare Franca nuovamente a Russi, per gustare l'arte scaturita dalle sue mani e intuire ciò che l'ANIMA, come Lei stessa ha scritto, suggerisce alle mani stesse.
Riccardo Morfino
Presidente Pro Loco Russi "Frammenti di materia" Maria Concetta Cossa - 2008
... Franca Minardi si avvicina alla “Natura” con amorevole accondiscendenza, una natura amica e domestica, quella della terra e dei gesti, antichi e rituali che ancora incantano. Le mani di Franca raccolgono pezzi di legno, tagli di potatura, foglie, nidi, aculei di istrice, tele di sacco, sabbie vulcaniche e fuliggine, pezzi di terracotta e con carte, colori, ori e corde lei costruisce strutture leggere e tele che raccontano della sua anima e della sua visione del reale attraverso frammenti di materia ... "Semplici materiali" Angelamaria Golfarelli - 2008
... L’arte di Franca Minardi è una raffinata e colta proiezione di quanto i semplici materiali che la realizzano possano divenire preziosi attraverso l’opera e la sensibilità dell’artista. Un processo che fonde Io e Materia in un’opera che “muove” e “vive” le sue trasformazioni arcaiche come le mutanti espressioni emotive dell’artista. Un’opera che senza essere “eterna” vive del suo infinito esistere ... "La modernità arcaica" Angela Maria Golfarelli - 2007
La modernità arcaica delle opere di Franca Minardi è impregnata dell’essenza della vita che quasi rispettando i suoi stessi tempi, lascia alle naturali trasformazioni , il lento ed inesorabile mutare delle cose.
L’arte segue quindi per Franca il percorso della vita. Nasce e si modifica nella sua poetica evolutiva forte e colorata, passando dalla creazione, alla stanca e polverosa opera dello scorrere del tempo. Fin quando ciò che resterà altro non sia che il moto perpetuo di una raffinata essenza.
I materiali stessi che Franca utilizza per le sue installazioni, sono elementi della natura: piccoli ramoscelli, piume, terra, carta, fibre tessili naturali, aculei di istrice, nidi caduti dopo un temporale…. Tutto, attraversandola, si mescola con la sua naturale predisposizione all’armonia, perché Franca, come la natura, ricerca la bellezza pur senza volerla intrappolare in gabbie irreali di staticità.
Il suo lavoro è continua ricerca, osservazione, studio attento, di quanto la circonda. Quasi con una lente di ingrandimento: il suo talento, dilata e seziona particolari inosservati rendendoli macroscopici elementi della sua interiorità. Contestualizzata nell’infinito e attento ascolto delle vibrazioni del suo pensiero artistico, l’arte di Franca riproduce lo stupefacente miracolo suggestivo di un tramonto che, pur sempre tramonto, non conosce mai ripetitività e uguale bellezza. Ciò che crea emozione e stupore ha già lasciato in noi il suo segno, come il mutare, che nel suo incedere incessante, procura sempre nuove suggestioni. Sia gemma turgida e pulsante di vita, o foglia secca arida ed amorfa sbattuta dal vento su quel distratto selciato che percorrono i nostri passi; la poesia della natura resta comunque invariata. La rivincita dei materiali naturali Art journal - 2007
Una buona fetta dell'arte moderna e contemporanea si fonda sul concetto di rivalutazione, sull'estrapolazione di un oggetto comune dal suo contesto originario. [...] La civiltà urbana e il distacco dal mondo agricolo creano il presupposto ideale per un esercizio di rivalutazione nei confronti di materiali e forme dell'universo naturale. Franca Minardi fa pienamente sua questa poetica riproponendo lo spettacolo estetico di materie rustiche e sempre meno familiari; nelle sue tele grezze, nel gioco di radici nodose, nelle pieghe di cellulosa, nello snodarsi della luce attraverso superfici prima increspate poi morbide emerge la supremazia del naturale sull'artificio, della terra sullo spazio. L'osservatore è invitato ad abbandonare i canoni della pittura figurativa "classica", la protagonista non è più la rappresentazione della natura ma la natura stessa, la canapa intrecciata non è più serva umile del pennello, con la complicità di luci radenti o affilate che ne esaltano la geometria e il valore cromatico, la tela è innalzata a prima attrice. A lei sono poi abbinati elementi svariati ma cromaticamente solidali, carta, legno e fibre vegetali entrano in scena con movenze dinamiche e tutta la dignità delle tre dimensioni. II colore "artificiale" completa l'opera, perfeziona i rapporti tra gli elementi della composizione, li amalgama donandogli un corpo nuovo ed unico.
su: Art journal nov. - dic. 2007 Il cielo è lontano : arte, parole e musica Susanna Melandri - 2005
"Il cielo è lontano" è il nome dell’iniziativa organizzata dalla nostra amministrazione per festeggiare la ricorrenza dell’otto marzo. E’ stata Franca Minardi l’artista che oggi qui espone, a suggerirci il titolo della manifestazione e lo abbiamo accolto subito poiché richiama alla memoria lo slogan utilizzato dai movimenti femministi del passato, ossia l’altra metà del cielo. Concetto questo da noi riportato alla sua unità come è appunto il “cielo per intero“ e ad una lontananza in quanto richiama il desiderio dell’affermazione del valore della persona al di là del sesso di appartenenza.
[...] Ma torniamo a Franca, alle sue opere che evocano suggestioni legate al corpo femminile ed alla sua sessualità, temi che ben si intonano alla festa delle donne.
La sua ricerca nel trasformare materiali poveri, ormai abbandonati, richiama la naturalità e la spiritualità, altri valori che mettono in discussione la logica consumistica e ci riportano alla nostra intimità di uomini e donne. [...]
Assessore alle Pari Opportunità del Comune di Conselice L’ essenza dei minimi segni Angela Maria Golfarelli - 2005
Ci sono parole che sanno restare ed altre che scivolano mai capaci di sosta, lontane...ma cercare di interpretarle sarebbe costringerle... Minimi segni, ad esempio è parola infinita, imponente, nulla a che vedere con la celata oggettività che afferma. E' ciò che unisce. Quell'indispensabile invisibile agli occhi che sa trovare nel vissuto la vera essenza. Ciò che svuota di ogni superfluo per rendere unico ed esclusivo il passaggio...
Franca Minardi
Le sue opere esprimono quanto ciò di concreto e tangibile, si ottenga quando ci si eleva all'astratta dimensione interiore, attraverso il femminile. La contraddizione rappresenta il valore aggiunto ad una complessità spontanea che nulla si vieta e nulla rinnega. Utilizza spesso materiali semplici che unisce con ricercatezza estetica e raffinatezza, riuscendo a smaterializzarli perchè plasmati col suo lo interiore. Non solo fango ma densa materia in divenire, non solo carta ma membrane tessute d'inquietudine, non solo chiodi o piume o fili d'erba, ma sensazioni lasciate libere di dirigersi senza meta, alla scoperta di quella sensuale femminilità - che in lei è così palesemente evidente da sembrare involontaria.
Attraverso i difficili percorsi dell'essere, che Franca rivendica come indispensabili compagni di viaggio alla stregua delle discese libere, la sua arte si evolve e ricerca, in sempre nuove sperimentazioni, ancora celate identità. Dai ricordi di bimba volutamente troppo adulta come da un dejavu, emergono assopite ingenuità, candori spontanei, e prendono forma i sogni. Come specchi di un'arte che riflette ciò che non può celare: l'essenza dei minimi segni. Se una sera, passeggiando per West Broadway... Giulio Guberti - 2000
Se opere come queste di Franca Minardi le avessi viste a New York in qualche galleria di West Broadway, non me ne sarei fatto caso: la globalizzazione di cui tanto si parla, è stata un fenomeno prima artistico che economico.
La globalizzazione (o in arte, il sentirsi cosmopolita) comporta un lento disfacimento delle tradizioni locali che non è detto debbano scomparire, anzi a volte diventano, attraverso il turismo o il consumismo, ecc., fenomeni mondiali, rimasti simili solo in apparenza agli originali del passato (vedi, per esempio, il palio di Siena), ma guastati nella loro sostanza e necessità.
Questo lento disfacimento di tradizioni, queste trasformazioni, questa mutazione del territorio e dei suoi abitanti ha un nome datogli dagli studiosi del fenomeno, a mio modo di vedere, terrificante: deterritorializzazione.
Non c’è dubbio che Franca colga anche questo aspetto, a partire da alcuni materiali usati: i sarmént (tralci di vite o di altri alberi recisi durante la potatura) e i véncc (rametto di vimini che serviva per legare piccoli fusti di piante alle canne di sostegno).
Ho usato apposta parole dialettali che un tempo erano di uso comunissimo nelle campagne (e non solo), e che i più giovani della mia generazione non hanno mai sentito pronunciare, per indicare, ancora una volta, mutazioni linguistiche, antropologiche e di tecnica agraria avvenute dopo la fine di quella che viene chiamata la civiltà contadina.
Con ciò starei però attento a parlare di “recupero” delle tradizioni o dei costumi della cosiddetta provincia.
O, addirittura, di difesa della provincia nei confronti della città o della capitale.
Oggi la cosiddetta provincia non esiste più, eliminata dall’industria prima (per esempio dalla motorizzazione dall’agricoltura e dei trasporti) e dall’informatica poi (Internet mette tutti in condizioni chi dice di uguaglianza e chi dice di omologazione).
Purtroppo a cambiare il mondo non sono state le lotte sociali e/o politiche, ma, in gran parte, la tecnologia, la quale non è priva di pericoli.
La prevalenza del modello tecnologico ha comportato la sconfitta dell’umanesimo, il cui ultimo tentativo di imporsi, bene o male, è stata, a mio parere, la rivolta studentesca del ’68.
Di sicuro però, nella storia personale di Franca hanno contato molto le contestazioni degli anni sessanta-settanta e il femminismo; oltre che sul piano strettamente artistico, il richiamo alle avanguardie o meglio la loro parziale rivisitazione, in quanto come fenomeno attivo anch’esse sono finite.
Se proprio si volesse trovare un contenitore linguistico per l’arte di Franca non si dovrebbe parlare né di arte di avanguardia e neppure di arte sperimentale, quanto di “arte radicale”.
[...] Alcune di queste opere stanno all’inizio di questa nuova mostra e non tanto e non solo per indicare una linea di continuità che pure esiste, quanto per sottolineare la funzione “germinativa” di quelle opere nei confronti di quelle ulteriori che sono poi il fulcro di questa nuova esposizione.
Germinale, aggettivo, viene da germe che a sua volta trae radice dal verbo gignere , generare, che genera (e da qui anche genere, per esempio genere femminile).
Insomma quei nidi hanno generato sia in senso biologico che in senso etnologico o antropologico: come assistere al passaggio dalla natura alla cultura.
Attraverso un bricolage, tipico delle società cosiddette primitive, cioè mediante strumenti realizzati in rapporto ai bisogni, basandosi su una “scienza dei sensi”, inizia per l’umanità la costruzione non solo degli utensili, ma anche di oggetti (o dipinti) simbolici o, se vogliamo, magici.
[...] L’equilibrio (e la contaminazione) tra visivo e concettuale, tra natura (rami, nidi, uova, muschio, cortecce) e cultura (carta, chiodi, colla) tra magia e razionalità, tra poesia, ironia e gioco è sinonimo di maturità culturale e artistica.
La sua vitalità scanzonata sottende letture e curiosità di donna e artista colta.
L’aggiunta di colori appena accennati (colore di terre raccolte in posti amati) che si portano dietro il vissuto dell’artista, la misura, e, lasciatemelo dire, la poesia di queste opere, proiettano Franca Minardi tra i migliori artisti romagnoli della generazione di mezzo, dopo quella dei Moreni, dei Sartelli e dei Ruffini, nella quale, segno dei tempi, sono presenti altre e diverse artiste. Artisti tutti che vanno ben al dilà della Romagna e della romagnolità, ma, stranamente, rimasti impigliati nelle periferie mercantili.
Allora, cara Franca, viva l’arte, e in culo al cosiddetto sistema dell’arte, ammesso e non concesso che esista ancora.
Se opere come queste le avessi viste in qualche galleria di West Broadway, a New York, avrei detto che si mostravano magnificamente; come altrove, del resto. Se le vedrò in qualche casa, contemplate amorevolmente, meglio ancora… Un’amica, un’artista Anna Boschi - 1997
Fu nella primavera di due anni fa che la incontrai, in una casetta nelle colline che sovrastano la bella cittadina di Cesena.
C’era una festa tra amici, ma in realtà io non conoscevo nessuno, tranne il padrone di casa. Fui l’ultima ad arrivare, così mi vennero a salutare tutti insieme.
Ora, se ci penso bene, non ricordo nessun volto e nessun sorriso tranne il suo; occhi verdi sotto i quali si apriva un generoso sorriso.
Fu lì che iniziò la nostra amicizia.
Quando mi fece vedere le sue opere pensai: “brava Franca si vede guardando queste opere che le tue mani si muovono con naturalezza e delicatezza anche su oggetti non semplici da manovrare, si vede molto bene che i tuoi pensieri guidano le tue mani e che la tua mente mentre crea è libera da pregiudizi e falsi pudori, si vede che ti lasci andare e mi vien da pensare che, ogni volta che termini un opera, è per te come lasciare andare un sospiro lungamente trattenuto”.
Quando mi chiese di darle una mano per la mostra, mi sono sentita onorata e incuriosita perché ero certa che ancora una volta la sua creatività mi avrebbe insegnato qualcosa.
Così, dopo circa un’ora che lavoravamo, dentro a quella chiesa sconsacrata,per togliere le cose che non servivano, non mi sono stupita di sentirla dire. “aspetta”.
Un attimo di sosta per pensare.
Si è seduta sull’unica sedia rimasta, al centro della chiesa e lentamente i suoi occhi si sono posati sugli oggetti rimasti.
Sembrava molto piccola e indifesa e dietro a quel sorriso appena accennato, c’era la voglia di dire al mondo intero: “so di non essere capita e d’altro canto come potrebbe essere; dietro ogni pezzetto di carta, ramo o foglia c’è un piccolo pezzetto della mia vita, delle mie gioie, delle mie tristezze, delle mie angoscie e soprattutto della mia forza”.
Alla sera, quando la sala era piena di gente e lei ballava, la sua danza era leggera e come il volo di una farfalla che sa di vivere poco ma che esprime tutta la sua gioia e delicatezza nel passare da fiore a fiore, così lei toccava e sfiorava i suoi amici e con quei movimenti armoniosi sembrava volesse dire: “so che
durerà poco ma ora sono felice” Fuori dagli schemi
Franca
Forme di
Femminilità Mirella Santamato - 1997
Ti darò questi fogli quando la festa sarà finita, amica cara, e tutti gli amici avranno portato via i loro ricordi.
Tu ti starai dando da fare per mettere a posto, raccattando qua un foglio di carta, là un pezzo di torta caduto dalla bocca di un bambino.
Sarai stanca, allora, amica mia e il sorriso si fermerà un poco sulle tue labbra mobili, mentre le tue mani continueranno a muoversi frenetiche, per troppa abitudine al fare.
Per inerzia, le mani delle donne si muovono sempre, quasi fosse stato impresso loro il movimento ineluttabile dei millenni e si vergognassero a farsi sorprendere ferme.
Chinandoti e raccogliendo, come danzando, tutto tornerà a posto in pochi minuti, amica mia, quasi tu possedessi la bacchetta delle fate. Scompariranno le voci rumorose della folla, le teste piene di commenti e fatuità, e l’orrore dell’incomprensione.
Tutto lucido e a posto come prima.
Ma tu, distillata dalle profondità più nascoste, avrai donato a tutti una piccola goccia di sapere. Le tue ali tremule di farfalla avranno preso forme audaci e si saranno mostrate senza pudori a chi ha occhi per vederle.
Finalmente scoperte, ma non vilipese, le tue forme di femminilità rimarranno appese alla mente di chi vuol capire: segno e contrassegno compiuto di te.
Ti sei mostrata aperta, ma non lacerata e la conquista di ciò è un dono per tutte noi.
Solo allora, quando tutto sarà finito, mi troverai, come prima, accanto a te, sorella mia, e ci salveremo, ancora e poi ancora, la vita.
Non sono mai stanca di volerti bene.
Mirella …Ovverosia nidi Giulio Guberti - 1997
[...] Asserire che il sesso sia uno dei “motori” che muove l’umanità, dopo Freud, diventa perfino banale: non solo, ovviamente, per la sua vessillifera funzione riproduttiva ma per la “pulsione del piacere” che confina con la “pulsione di morte”.
Da qui molte interpretazioni, intorno alla sessualità dei fanciulli e degli anziani, al sadomasochismo, alla pornografia ecc.: tutte vicissitudini che hanno provocato scandalo in tempi andati mentre ora sono pane quotidiano dei mass-media.
Lo scandalo è un piatto ricco per gli artisti, come è risaputo: ma mentre il sesso maschile era ben rappresentato (presentato direi) nelle varie epoche, per esempio presso gli antichi greci, gli etruschi, i romani (Pompei docet) fino al Rinascimento italiano (fino alla Controriforma), quello femminile era tenuto per così dire lontano dagli sguardi “indiscreti” o rappresentato per “metafore”.
Con il quadro di Gustave Courbet “La fonte della vita” si avvia un’inversione che prosegue con Picasso per arrivare alle Marilù di Mattia Moreni: alcuni esempi significativi tra altri del cambiamento dei tempi. A una tradizione non figurativa ma informale si rifanno queste opere di Franca Minardi.
Si sa che i “buchi” e i “tagli” di Burri e Fontana sono stati letti, da alcuni, come sessi al femminile e Franca, mi pare, parte da qui, da queste interpretazioni.
Ma mentre quei “buchi” e “tagli” erano delle deflorazioni e in un certo qual modo degli “stupri” e sottendevano la violenza “maschilista” degli autori (la loro pulsione inconscia di piacere e di morte) e della società, i “nidi” di Franca “capovolgono” il senso e diventano teneramente femminili (e femministi).
Il “miracolo” per così dire avviene perchè da una parte vengono “riposti” in una natura protettrice (si vedano i rami, il fieno e l’uovo, materiali organici: recuperando in tal modo la lezione di Sartelli), dall’altra per l’irrompere dell’ironia (e dell’autoironia) come insegna Richard Rorty, ha la funzione spaesante e capovolgente. [...] Sottolineerei particolarmente il “giocare”, in quanto il gioco ironico è il fondamento delle opere di Franca.
Inoltre hanno scritto:
Enzo Dall'Ara, Sandro Bassi, Chiara Donati, Stefania Mazzotti, Giuseppe Sangiorgi , Rosanna Ricci, Beatrice Buscaroli.